Dialetto

C’è un termine che viene usato in alcune espressioni, sia in italiano sia in dialetto, con la differenza che esso assume significati completamente diversi. Se noi in italiano diciamo: fare l’amore, quella fa l’amore con…, oppure an­dare a fare l’amore, queste espressioni presuppongono un atto sessuale con più o meno sentimento.

Nel nostro dialetto invece, le stesse espressioni: “mettese a fa l’amore, chella fa l’amore co…”, oppure “i (ine) a ffa l’amore”, hanno un significato puro e innocente. Difatti, “mettese a ffa l’amore”, significa semplicemente fidanzarsi; “chella fa l’amore con…” quella è fidanzata con…; “i a fa l’amore” viene usato per dire che si va a trovare la fidanzata in casa alla presenza dei genitori, naturalmente.

In merito a, “i a ffa l’amore”, ricordo un aneddoto raccontatomi molto tempo fa da una persona più anziana di me di due generazioni, la quale mi descrisse in cosa consisteva andare a fare l’amore ai suoi tempi, aveva all’in­circa l’età di mio nonno, quindi parliamo di subito dopo la prima guerra mon­diale.

In casa della ragazza ci si andava al massimo due sere a settimana, dopo cena naturalmente, e la serata trascorreva diversamente in base al periodo. Se era in estate, quasi sempre si trovava la fidanzata con tutta la famiglia a prendere fresco con i vicini nel vicolo o nella piazzetta, e non restava altro da fare che sedersi sullo “scalone” accanto ad essa, ma non troppo vicini e la­ sciar trascorrere la serata, sorbendosi almeno inizialmente gli sguardi curiosi delle vicine che lo squadravano.

In inverno invece si godeva di un po’ più di intimità, perché si stava in casa, seduti “denanzi ajo fuoco”, vicino alla “riazza” sempre a debita distanza, a parlare con il suocero, della stagione scorsa, dei nuovi lavori che si erano iniziati, della conella che s’era fiata e de quanti conelluozzi era fatto…

Dopo diverso tempo che “faceno l’amore”, una sera stando seduti d’avanti al caminetto, vedendo che la ragazza teneva poggiati i palmi aperti delle mani sulle ginocchia, “jo riazzo” tentò un innocente quanto ardito contatto fisico; si azzardò a stringere tra il suo pollice e l’indice, il mignolo della “riazza”. La cosa non sfuggì alla sempre guardinga suocera, che a detta del futuro gene­ro era pure “parecchio fregna”, la quale attingendo dal fornito bagagliaio di estrema gentilezza di cui erano fornite le nostre nonne, lo invitò a desistere da quello sconcio tentativo, intimandogli: “regazzì, leva ssa mani ca te sono na palettata nfronde, mica madonne eh!”

Vi è una parola nel nostro dialetto, usata un tempo frequentemente so­prattutto dalle donne che pur indicando qualcosa di specifico, in base alle va­rie espressioni in cui viene usata assume una infinità di significati diversi. Per quanto indichi una precisa parte anatomica femminile, essa viene “caricata” di talmente tanti significati da risultare la parola “regina” nel nostro dialetto.

Nell’aneddoto descritto nella “prima parte delle curiosità del nostro dia­letto”, abbiamo “incontrato” l’espressione riferita alla futura suocera del narratore, il quale la definiva come “parecchio fregna”. Il che non significa che essa fosse sovrabbondante di quella parte anatomica che normalmente indica, bensì l’espressione descrive una donna, eccessivamente guardinga, inflessibile, rigida, intransigente; la classica “femmena che nze fa passa’ la mosca sotto jo naso”.

Così come “fregneria o fregnaria”, non indica la fabbrica dove si crea o la bottega dove si vende tale cosa, ma l’insieme di comportamenti, atteggia­menti e di nervosismi che portano una donna ad essere “fregna.”

Altrettanto con il termine “sfregnata”, non si intende; donna priva “della tal cosa”, ma persona a cui non va bene niente, che non si accontenta, pre­suntuosa ed esigente, da trattare con cautela perché sempre pronta alla lite.

Con il termine “ciafregna”; si indica una donna lenta nel fare le cose, in­concludente. Essere definite in tal modo, rappresentava la peggiore offesa si potesse fare ad una donna.
“Ciafregneria o ciafregnaria”, invece ha il significato di, svogliatezza, di debolezza, di non sentirsi attivi, con poca o nessuna voglia di fare qualunque cosa. “E cche è sta ciafregnaria che mme stà a pia’ uoi”! frase che si udiva spesso nei pomeriggi della stagione estiva quando ci si sentiva deboli per effetto del forte caldo.

“Tene’ le fregne”, non significa detenerle per collezione o per commercio, ma significa essere parecchio adirati per qualcosa o contro qualcuno, stesso significato per l’espressione; “sta’ nfregnata”.

“Nfregnettane ha il significato di fare piccole cose o lavori insignificanti.

Al maschile si usano le forme: “fregnacciaro” chi racconta fandonie; “fre­gnone” utilizzato per indicare chi si è comportato in maniera poco sveglia; “fregnobbuffo” persona stramba o oggetto strano.

La “fregnaccia” non indica la tale cosa andata a male o che si è rovinata, bensì, una fandonia; un qualcosa che si è fatto di poco conto, un piccolo er­rore, o anche un qualcosa di grave che si è commesso.

Usata in determinate imprecazioni assume una veste giustiziera o addirit­tura da killer, tipo; “la fregna che t’ammazza, …che te storza, …che te scanna, …che t’arecela”.

Si riappropria del proprio significato, nelle esclamazioni: “la fregna de so­reta, …de mammeta, …de zieta” e chissà perché, “…delle moniche” (usata con una certa frequenza).

In esclamazioni di meraviglia, con un po’ di risentimento, “si usa la forma “fregna mamma!” Sempre nelle esclamazioni di meraviglia si usava, attual­mente non più in uso, nella forma “fregna ca lampa!”

Tra altre esclamazioni, abbiamo: “mucco de fregna”, usata nella forma ri­sentita per indicare chi pretende troppo o molto sfacciata; “occa de fregna” usata per persona molto esigente nel mangiare; al contrario invece per de­finire una persona schizzinosa nel mangiare, chiama in causa la “consorel­la”, definendola “occa de cella”. Solo nel definire, una donna “spenta”, priva di emozioni, di sensazioni e di qualunque stimolo anche umoristico, le due “consorelle” si abbracciano in una sorta di “par condicio”, ed indifferente­mente si lasciano spazio l’un l’altra, definendo tale donna; “fregna moscia o cella arefredda”.
Tutto quanto sopra descritto, come già detto faceva parte di un linguaggio prettamente femminile di qualunque età. Da parte maschile, specialmente in persone anziane, questo termine veniva raramente usato, avevano una forma di rispetto quasi di venerazione per quella parte anatomica. Ricordo infatti di averli sentiti in più di una occasione, anche in riferimento a quella animale, chiamarla: la natura.