I metodi di previsione del tempo

La grande nevicata del 1956ANTICHI METODI DI PREVISIONI DEL TEMPO di Antonio Panepuccia

Quando non esistevano le previsioni metereologiche che conosciamo noi i nostri nonni utilizzavano sistemi di previsione escogitati dai loro antenati che si basavano sull’osservazione attenta e ripetuta di fenomeni naturali comprovati dalla lunga esperienza. Con tali previsioni regolavano i vari lavori in campagna e quindi la loro vita. Erano tempi difficili: c’era in gioco la sopravvivenza e niente veniva lasciato al caso.
Una importante fonte di osservazione e di previsione, specialmente nelle stagioni autunnali invernali e primaverili, erano i venti (i vienti) e la loro direzione.
Se il vento veniva da nord-est (vale a dire se zzoffieia o tirea da chella parte) veniva chiamato viento Aquilone l’equivalente del Burian riportato nella rosa dei venti convenzionale. Il Burian è un vento invernale freddissimo che proviene dagli Urali e dalla Steppa. Per ricordarne gli effetti si era coniato il detto: “tira jo viento Aquilone la neve ‘gni cantone”. Se il vento veniva da sud-est, sempre in inverno o in autunno, veniva chiamato viento Acquaro perché annunciava la pioggia per il giorno successivo. Quando spirava quel vento si diceva in modo figurato:“domani ‘nze cacceno crape”. Vale a dire domani pioverà e non si possono portare le capre al pascolo.
In inverno o in primavera, perché a seconda delle stagioni cambiano gli effetti, il vento da sud-ovest ovvero Libeccio da noi chiamato viento Marino determina un lungo periodo di piogge, anche intense, con qualche piccola e breve apertura delle nubi da dove appare il sole. Ma ciò non ingannava i nostri antenati tant’è che quando vedevano questo squarcio dicevano:“sole che luce acqua aredduce”. Ed è questo il vento che ha prodotto indirettamente anche il detto:“se piove ai quattro aprilanti ( il quattro di aprile) , piove quaranta giorni sonati”.
Sempre in inverno da nord-ovest spira il vento Maestrale da noi chiamato tramontana Turbita e anche esso genera pioggia. Ed infine da nord la tramontana che non ha subito cambio di nome ed è il classico vento freddo che spazza le nubi e riporta il bel tempo.
In estate quando c’è bel tempo i venti spirano: la mattina da est verso ovest, da mezzogiorno fino a sera, cambia direzione e spira da ovest verso est se non ricordo male entrambi venivano chiamati viento Ritto. Quando invertiva il senso si determinava un cambiamento. Mi sono espresso al passato, ma tutto ciò è ancora valido e molto preciso.
Oltre ai vienti, per avere indizi di previsioni, venivano osservati attentamente anche altri fenomeni naturali e il comportamento degli animali.
Il sorgere del sole dava già ampia indicazione di come sarebbe stata la giornata che stava nascendo; come il suo tramonto indicava come sarebbe stato il giorno o i giorni successivi.
Sempre nel periodo che va dall’autunno all’inizio della primavera, un sole che sorgeva con bagliori rossastri, faceva ripetere il detto:“rosciore della matina ‘nze fa notte che te ‘nvonne la schina” un’alba rossastra indicava che sarebbe piovuto in giornata.
Così un sole al tramonto contornato da nuvole:“jo sole cala ‘nzaccato” non prometteva niente di buono per l’indomani. Anche se non pioveva, ci sarebbe stato comunque un cambiamento del tempo. Tutto il contrario insomma del classico:“roscio de sera bon tempo (e non tiempo) se spera”, quando il sole tramontava con un cielo infiammato ma senza nubi intorno. Chissà perché, in questo detto, il termine tempo non veniva usato in genazzanese?
Se in una mattina rigida, con il gelo a terra, rannuvolava si esclamava:“rennuola sopre la brina ’nze fa notte che te copre la schina”. E ciò indicava alte probabilità di nevicate.
E ancora:
“dopo la terza gelata jo tiempo s’arecagna”;
“la nebbia comme pia lassa”; quando la nebbia si dirada lascia il tempo come l’ha trovato.
La neve anche se pochissima sui monti Lepini, le montagne di Segni, terrorizzava i nostri vecchi. Perché se tardava a sciogliersi completamente significava: “aspetta l’atra”, e anche perché quando essa era presente in quelle montagne avvenivano le gelate tardive che distruggevano i vigneti. Cosa potesse significare un’evenienza del genere, per chi affidava il proprio futuro alla “stagione”, penso che possiamo immaginarlo tutti.
Osservando il cielo di notte:
se le stelle che si vedono sono fitte:“le stelle stao fitte”;
o la luna presenta un alone luminoso intorno ad essa:“la luna te jo lago”, entrambe annunciano un cambiamento del tempo.
Al contrario invece quando l’atmosfera ci permette di vedere solo poche stelle, significa che il tempo sarà stabile.
Lo spirito di osservazione dei nostri vecchi aveva scoperto anche altri segni all’interno del paese.
Quando dopo una breve pioggia il selciato restava bagnato:“i sergi ‘nzassuccheno”, significava che aspettavano altra acqua. Lo stesso quando il fumo dei camini ristagnava in basso e invadeva le stradine e i vicoli.
Che gli animali abbiano conservato, a differenza di noi, delle sensibilità istintive riguardo il percepire delle variazioni atmosferiche, è noto ed era noto anche moltissimi anni fa. Difatti osservando il loro comportamento o le loro inquietudini si riusciva a capire che stavano per arrivare mutazioni del tempo. Osservare il comportamento degli animali, non significava stare a rimirarli per ore, ma bastava un colpo d’occhio per rendersi conto che c’era in essi qualcosa di diverso.
Quando le rondini “voleno arde”, significa che è presente l’alta pressione atmosferica, gli insetti si spostano in alto e le rondini per cacciarli li seguono, ciò significa che il bel tempo durerà ancora. Al contrario quando volano basse, è indice di bassa pressione, e di cambiamento meteorologico.
Indica il cambiamento in peggio anche:
“Quando canta jo vallo sfor d’ora”; il gallo normalmente si fa sentire per annunciare l’alba, se invece canta durante il giorno, quindi fuori orario, annuncia la pioggia.
Quando le formiche costruiscono intorno all’ingresso del nido un cono di terra, come se dovessero arginare l’acqua che verrà. Questo comportamento non riguarda alcuni formicai, ma tutti, basta guardare su un tratto di terra battuta, di strada o viottolo, per vederli spuntare fitti, naturalmente quando ne ricorrono le condizioni. (Non ricordo, come veniva descritta questa osservazione)
Arriva il freddo se non addirittura la neve quando “i passeri s’ammucchieno” il giorno e mostrano inquietudine e nervosismo nel ricercare il cibo e nel mangiarlo velocemente. Lo stesso vale quando, vicino all’abitato si vede un uccello:“la coa de fiamma”, forse il codirosso, uccello che sosta generalmente in montagna, ma quando avverte l’arrivo del freddo o della neve si sposta in basso.
In estate invece quando c’era aria di temporale e tuonava in direzione di Roma, si diceva:”trona verso Roma attacca i bovi e v’allavora”, (lavora senza accento sulla a), perché nonostante il tempo si annunciava brutto, non avrebbe piovuto, quindi si poteva andare al lavoro tranquillamente.
Chiudo segnalando un fenomeno particolare, che non so quanti dei giovani lo conoscano, perché esso si manifesta più che altro nelle zone di pianura di Genazzano, la zona dei vaccari e dei pecorari per intenderci. Dal nome e dal suo comportamento bizzarro e dispettoso, potrebbe essere un personaggio carnevalesco, la maschera di Genazzano, il nome che gli è stato attribuito dai vecchi è: SGRIGNARIELLO. Normalmente è un turbine d’aria, un piccolo tornado di limitate proporzioni, generato dal forte calore del terreno durante la stagione calda. Spesso si vede “danzare” nelle strade polverose e in mezzo ai prati avviluppando polvere e detriti. In rare occasioni si è manifestato, almeno da quello che mi è capitato di osservare, in maniera più forte. Tanto da “spazzare” parte del fieno che essiccava su un prato, trasportandolo sparso abbastanza lontano. Il suo manifestarsi indica che continuerà il tempo caldo.
Oltre ai segnali comuni a tutti, molti avevano dei segnali “privati” che andavano: dall’acuirsi dei dolori reumatici, al fastidio di vecchie ferite, fino:“ajo caratiello che uma o che vetta”. Si sentiva dire ogni tanto:“s’arecagna jo tiempo, perché arevetta jo caratiello”. Sembra strano, ma alcuni funni de caratielli soprattutto, o forse anche di botti, quando il tempo volgeva al brutto, lasciavano uscire stille di vino, inumidendosi all’esterno.